La grotta della morte di Leonardo C.

Erano ai piedi dei Monti Urali. 
Jefferson, il capo della spedizione di ricerca, non riusciva ancora quasi a crederci: l’aveva trovata. La Grotta della Morte, così chiamata dalle antiche popolazioni slave, anni di ricerca passati quasi senza una straccio di prova per dimostrare la sua esistenza. 
Tutti, a Oxford, si prendevano gioco di lui: “Una ricerca senza speranze”, ammonivano i più gentili, per poi arrivare al popolare “Mossa furba reclutare tua moglie nella squadra, eh? Nessuno voleva entrare?”. In effetti, il suo gruppo di ricerca era composto da sole 5 persone, incluso lui, Jefferson. Gli altri membri erano: Gabriel, George, Frank, e infine, sua moglie Beth, una geologa. Ma quella mappa aveva cambiato le cose. 

La mappa russa contenevano delle indicazioni per depistare chi voleva mettersi alla ricerca della Grotta, ma loro non avevano seguito gli avvertimenti scritti a lato. Tutti, però, erano stati inquietati da un’appena visibile macchia di sangue, assorbita ormai dalla mappa. Ma se c’era un momento in cui pensare positivo era d’obbligo, era quello: avrebbero trovato la grotta, l’avrebbero esplorata con cautela e attenzione, sarebbero tornati a Oxford a avrebbero sbattuto in faccia agli scettici la loro scoperta. O almeno così sperava. 

La voce di sua moglie lo distrasse dai suoi pensieri. “Jefferson, caro, ci segui?”.Solo allora si accorse di essersi fermato e recuperò lo spazio creato tra i suoi compagni e lui. Stava per far buio, non poteva scegliere momento peggiore per perdersi. Camminarono per un’altra mezz’ora, finché non trovarono una piccola zona in cui montare le tende. Il giorno dopo avrebbero dovuto camminare da mattina a sera, senza neanche fermarsi per pranzare. “E’ questo il bello dei panini” - diceva sempre lui - “non devi smettere di camminare, per mangiarli”. 

La notte fu tranquilla per tutti escluso Jefferson che, nonostante fosse piegato in due per la stanchezza e la fatica, non riusciva a prendere sonno. Pensava. Pensava con preoccupazione a cosa avrebbero potuto trovare in quella stramaledetta Grotta della Morte. Se si chiamava così, c’era un motivo. La preoccupazione si trasformò in ansia quando ricordò che, secondo la datazione del Carbonio 14, la mappa risaliva intorno al 1100 d.C., quindi il sangue che avevano trovato probabilmente apparteneva al creatore, oppure ad uno dei creatori della mappa, perché se fosse morto non avrebbe potuto portarla nella biblioteca di Kiev dove era stata rinvenuta. Alla fine, però, la stanchezza ebbe la meglio e si addormentò, seppur assalito da terribili incubi. Aveva paura, forse troppa, per continuare quelle ricerche? 

La mattina dopo, partirono presto, verso le sette. Poco dopo, però, si trovarono ad un bivio, così decisero di dividersi: Jefferson, Frank e Beth avrebbero percorso un sentiero, Gabriel e George un’altro. I giorni passarono senza troppi imprevisti, tra chiamate tra i due gruppetti, alternando successi e totale mancanza di segnale e camminate lunghe ed estenuanti. Niente di particolare, finché un giorno il gruppo capitanato da Jefferson non passò da un passaggio sulla fiancata di un monte. Non era stretto, non c’erano problemi da questo punto di vista. Jefferson era il più vicino al bordo del precipizio, anche se si teneva a debita distanza. Frank interruppe una conversazione tra lui e il capo sugli aspetti positivi e negativi della Brexit per abbeverarsi, e quando mise il braccio nello zaino per afferrare la grande borraccia, un assordante rumore colse tutti impreparati. Un sonoro “BUM!” e un grido, e poi Beth e Frank guardarono il bordo. Jefferson era appeso a questo con una mano, e gridava per lo sforzo, unendosi allo strillo terrorizzato di sua moglie. Frank, che era caduto in seguito alla misteriosa esplosione, si era rialzato e avvicinato al capo della spedizione. Gli porse la mano, ma Jefferson non riusciva a muovere il braccio libero senza sbilanciarsi. Era la fine. A un passo dalla gloria e dalla fama che la scoperta avrebbe portato, per non parlare del denaro. Alla fine, la Grotta della Morte avrebbe avuto la meglio, l’avrebbe ucciso. La mano destra, che teneva l’esploratore agganciato alla parete di roccia, liscia come una lastra di vetro, iniziava a sudare. Stava scivolando. La forza lo stava abbandonando, come la vita. Stava per mollare la presa, era rassegnato, quando sentì una forte presa al polso, che gli creò una fitta dolorosissima. Le dita mollarono, ma non sentì niente. Nessun mal di stomaco per la caduta, nessun colpo contro la roccia. Guardò in alto: Frank lo teneva, steso per terra. Jefferson avrebbe voluto ringraziarlo, gratificarsi, ma dalla sua bocca uscì solo qualche suono debole e incomprensibile. Beth e Frank, nonostante la fatica, tirarono su l’esploratore. Dopo quell’esperienza da dimenticare, decisero di accamparsi e stabilirsi lì finché Jefferson non si sarebbe ripreso. 

Trascorsi cinque giorni dall’avvenimento, Jefferson si riprese e proseguirono il cammino avanzando di qualche chilometro. Sembrava andasse tutto bene, ma dopo che il capo della spedizione era stato quasi ucciso dall’esplosione, di cui nessuno conosceva né chi, né perché qualcuno avesse piazzato lì dell'esplosivo, l’aria tra i tre era diventata tesa. Come se quel pericolo improvviso potesse tornare da un momento all’altro, o, ancora peggio, l’avesse già fatto. Jefferson continuava a tormentarsi con un solo interrogativo: chi diavolo aveva messo quell’esplosivo lì e l’aveva fatto esplodere proprio nel momento in cui erano passati loro? Era scontato che volessero eliminarlo per qualcosa che aveva a che fare con la Grotta della Morte, ma cosa? 

Finché, un giorno, alle due del pomeriggio, Beth, che aveva sorpassato suo marito, lo chiamò: “Jefferson! Vieni a vedere! Sbrigati, forza!”. Sforzando al massimo le proprie gambe, la raggiunse, in un piccolo spiazzetto coperto di erba. “Oh, no…! È un vicolo cieco!” esclamò lui, ma la moglie lo scosse:” Ma non lì, stupidone! Da quella parte!”. A quelle parole, Jefferson si girò, si mise le mani tra i capelli, quasi da strapparseli. “No… È… È… Non ci credo… L’ho trovata!”. Nel muro di roccia c’era una buco, e sopra di esso, una specie di testa di montone molto stilizzata. Come diceva l’antica mappa… il simbolo sopra l’accesso alla Grotta della Morte… 

L’esploratore, dopo qualche altra esultanza, ordinò:”Ok. Bando alle ciance. Beth, tu resta fuori, guarda se puoi metterti in contatto con George e Gabriel, aggiornali e digli di tornare indietro al bivio, di aspettarci lì, e se vogliono entrare qua dentro, di raggiungerci. Noi e Frank andremo nella Grotta, per accertarci che sia sicura. Va bene? Te la senti Frank?” Nonostante Beth protestasse per il fatto che se si chiamava così, di certo la grotta non poteva essere sicura, Jefferson e Frank si addentrarono all’interno della cava. 

La grotta era buia e fredda. I passaggi erano stretti, e potevano passare solo uno alla volta. Jefferson, per allentare la tensione che si era creata, disse :” Sai, quando ero ragazzo soffrivo di claustrofobia… poi dei miei amici mi hanno rinchiuso dentro un armadio per due giorni.”.”Davvero? E come hai fatto a sopravvivere?” chiese con falsa curiosità Frank. “Bé, in realtà mi avevano lasciato tre panini, un litro d’acqua e un secchio… sono stati abbastanza generosi. In ogni caso, comunque, mi sono abituato a stare negli spazi chiusi. Ed eccoci qui” aggiunse per vantarsi un poco. Il passaggio era lungo e i due esploratori, di corporatura notevole, impiegarono mezz’ora prima di arrivare allo sbocco del passaggio. Quando uscirono, a Frank scappò un “Uoah” che riecheggiò tra le pareti dell’immensa grotta che si stagliava di fronte a loro. 

Le pareti distavano almeno sessanta metri tra di loro, ma più che in lunghezza, la Grotta della Morte sorprendeva per la sua altezza: davanti a Jefferson e a Frank partiva un sentiero che continuava lungo le pareti quasi perfettamente cilindriche, come fosse sospeso, a occhio e croce, per centinaia di metri verso il basso. “Caspita… Allora, questa, è la Grotta della Morte…” esclamò Frank.“È… bellissima. Meravigliosa. Non c’è altro modo per descriverla. E io che mi immaginavo che fosse una normale grotta ricoperta di ossa e teschi… Sembra quasi… come se…”. “…come se fosse stata scolpita dall’uomo.” Terminò Jefferson, con aria più preoccupata che meravigliata. 

“Non ha senso!” esclamò il capo spedizione, tutt’altro che meravigliato. “Non ti seguo, Jeff” chiese Frank “perché sei arrabbiato?”. Jefferson continuò: “Non ha nessunissimo senso… !! 

Questa… questa grotta, la famosa Grotta della Morte, è… troppo perfetta. Troppo precisa. Troppo improbabile. In natura, eventi del genere non si verificano se non… ogni milioni di anni. Poi dentro una montagna, per giunta.”. Aveva l’aria di un vecchio che si rassegna alla morte imminente, come se avesse sprecato quegli anni di studio. “Ci stai prendendo in giro?!!” urlò, senza un destinatario preciso, come se volesse insultare la montagna. Frank replicò:“Jefferson, non devi infuriarti. Potrebbe essere un vulcano, senza però un cratere principale” indicò verso l’alto, dove c’era qualche paio di buchi che illuminavano leggermente l’ambiente. 

Ma l’esperto esploratore, prontamente, smentì la sua ipotesi:“e il sentiero? Come fa a stare così, senza cadere? Se questo fosse un vulcano spento, una “costruzione” di quel genere sarebbe stata spazzata via.”. Poi tolse le parole di bocca al suo compagno:” E se ora mi dici che potrebbe essersi formata dopo, magari per la solidificazione del magma, ti dovrei rispedire a scuola.” Frank era davvero spiazzato. Come poteva sopportarlo, non lo sapeva nemmeno lui. Ma la cosa sarebbe finita presto, insieme alla loro ricerca. Un sorriso si abbozzò sul suo volto. Per mettere d’accordo Jefferson con lui, lo invitò a testare, insieme a lui, la sicurezza del sentiero sospeso. Incredibilmente, resisteva al peso di due uomini adulti. Così, tentarono la fortuna e proseguirono per la stradina lungo la parete della grotta camminando per un’ora. La temperatura aumentava e loro iniziarono ad avere caldo. Inoltre, la discesa sembrava non avere intenzione di fermarsi. “Torniamo su, dai, così aggiorneremo gli altri membri della squadra” invitò Frank. 

Jefferson, anche se non lo avrebbe mai ammesso, era stanco, accaldato e teso, quindi dopo un po’ di falsa resistenza, accettò. 

Il viaggio di ritorno fu definito dal capo della spedizione “in procinto di non finire mai”, ma dopo un’oretta e mezza tornarono di fronte all’entrata dello stretto passaggio da cui erano entrati. Frank era già entrato, quando Jefferson indugiò: “Mi dispiace un po’ lasciare questo posto… è di una bellezza quasi ipnotica…”. Il suo compagno, con espressione comprensiva, ficcò una mano nello zaino, e ne estrasse un oggetto insolito. Jefferson assunse un’espressione terrorizzata, mentre sul volto di Frank si mostrò un ghigno compiaciuto.”Cosa… Non…” balbettava il primo.”Fermo.” Minacciava il secondo. “Cosa vuoi fare con quel aggeggio?” lo affrontò Jefferson, più sicuro. “Questo non è un mero aggeggio, Jeff. Questo è un interruttore per esplosivi” rispose scandendo le ultime tre parole con tono calmo, giocherellando con il piccolo oggettino grande quasi quanto un pugno. “Ho già percorso il sentiero. Anzi, i sentieri. E ho preparato il campo per gli avvenimenti successivi.”.”Quindi… sei tu che hai posizionato l’esplosivo e l’hai fatto esplodere, quando eravamo lungo il versante della montagna! Hai fatto finta di prendere la borraccia! Ma allora perché mi hai salvato?”.”C’era tua moglie, idiota! Se ti avessi buttato di sotto, o lasciato cadere in sua presenza, lei sarebbe stata una testimone, e avrei dovuto zittire anche lei.” Spiegò Frank, compiaciuto del fatto che Jefferson non riusciva ancora a capire. “Brutto…” stava iniziando lui, quando fu zittito:”Basta sprecare fiato. Quello che devi sapere è che sui giornali scriveranno questo: un esploratore inglese di nome Jefferson rimasto intrappolato all’interno della da lui scoperta Grotta della Morte a causa di un crollo. Per aprire un varco ci vorranno mesi, se non la si vuole danneggiare o causare altri crolli”. 

L’esploratore, confuso, chiese :”Ma… perché?”. Frank si voltò. 

“Sai, sulla documentazione, ci sarà scritto che gli studi sono miei, che io ho trovato la mappa e vi ho indirizzati qui” disse, poi, con la mano pronta ad azionare l’esplosivo, girò la testa perché la sua vittima potesse vedere il suo volto un' ultima volta. “Niente di personale, Jeff. Ah, e se te lo chiedono, racconta la mia versione” concluse con un occhiolino. Dopodiché ci fu un botto, uguale al “bum!” sentito quasi una settimana prima. Jefferson non vide più nulla. 

Si svegliò con un dolore lancinante alla fronte. Se la toccò: sanguinava, ma non copiosamente. Si rialzò, si guardò intorno. Il passaggio era bloccato. E poi ricordò l’accaduto. Solo allora Jefferson si rese conto che la sua vita stava per finire, ora per davvero. Era notte. A quel punto gridò, infuriato, tanto forte che per non farsi assordare dall’eco si dovette tappare le orecchie. “Se devo morire qui, voglio andare fino in fondo!” urlò, guardando sopra e sotto la grotta. Si toccò la bisaccia: la torcia c’era ancora. La impugnò, e iniziò a percorrere il sentiero lungo la parete. 

Ci vollero due ore buone, e molta fatica, prima di arrivare alla fine. L’unica cosa che riuscì a distinguere fu una stanza circolare e la sagoma di una persona. Era enorme . “Aiuto…”. Fu l’ultima cosa che riuscì a dire prima di accasciarsi a terra, stanchissimo. Non si addormentò, ma rimase immobile. Si rialzò solo quando ebbe riacquistato le forze, cioè alle prime luci dell’alba. Guardò nella direzione in cui aveva visto la persona. C’era ancora. Non aveva cambiato posizione. Allora Jefferson si avvicinò.“Che sciocco che sono! È una statua!” esclamò ridendo istericamente. “Aspetta un secondo… se c’è una statua vuol dire che qualcuno è già stato qui!”. Si avvicinò alla statua. Aveva un’ascia stretta nella mano destra, e uno scudo rotondo nella sinistra. Aveva un elmo cornuto e una lunga barba. Ai piedi del monumento una scritta gli fece prendere un colpo. “ODINO?!” esclamò. Aveva capito tutto: quel posto era un gigantesco tempio normanno. Dovevano aver trovato una grotta naturale, e poi avevano creato un lunghissimo passaggio verso il basso. Inoltre, si accorse che un raggio di luce illuminava la faccia rabbiosa del dio vichingo. Guardò in alto, e si ricordò di ciò che Frank gli aveva fatto notare il giorno prima: delle feritoie nel soffitto, evidentemente fatte per illuminare proprio la statua. “Furbi, ‘sti qua” pensò Jefferson. Ma poi si rese conto di una cosa. Quei buchi… potevano permettere il passaggio di onde radio! Corse subito lungo la strada per tornare sopra, pregando perché il suo walkie - tokie non fosse stato distrutto. Arrivò a destinazione, frugò con ansia nello zaino e lo trovò, sollevato. Si posizionò bene, e cercò di contattare sua moglie. Non ci riuscì. Un imprecazione, un cambio di posizione, e riprovò. Nulla da fare. Ma Jefferson non si rassegnò. Puntando bene l’antenna del dispositivo verso la feritoia nella direzione dell’entrata esterna del passaggio. “Beth?” chiedeva, mentre il rumore del suo strumento gli riempiva la testa. “Pronto?” Esclamò d’un tratto una voce femminile. A Jefferson scappò una lacrima. “Beth… aiutami… Frank mi ha chiuso dentro… quello che dice è falso… ci sono delle feritoie, più in alto nella montagna… chiama aiuto…”. In quel momento il segnale scomparve. Beth, che si era resa conto che per suo marito c’era ancora una speranza, chiamò subito i soccorsi, ma il segnale era troppo debole. Intanto Frank, che aveva ascoltato di nascosto la conversazione, si stava avvicinando a Beth. Voleva farla finita. Lei si voltò in tempo per vedere il suo compagno di spedizione metterle le mani al collo. Beth, istintivamente, cercava di picchiarlo, ma non gli faceva abbastanza male. Infine, quando Frank la stava per spingere nel vuoto, lei gli tirò il calcio più energico che poteva nella bocca dello stomaco. L’uomo, colto impreparato, fu attraversato da un conato, si piegò, e, colpito con un'ulteriore ginocchiata sulla fronte, si accasciò a terra. “Sistemato” Disse Beth, poi, assicurandosi che Frank non si sarebbe svegliato prima di qualche ora, si diresse nella direzione da cui provenivano. Dopo alcuni tentativi vani, contattò dei soccorsi. 

Jefferson era fermo in quella posizione da cinque ore ormai. Non aveva mosso un muscolo. Improvvisamente sentì un rumore che aveva desiderato sentire in tutto quel tempo: pale di un elicottero. Urlò con tutto le sue forze:”EHI! SONO QUI! NEL BUCO! Poco dopo, una scala di corda fu calata nel buco. “Di più!!” gridava, e ci volle un bel po’ di tempo prima che riuscisse a issarsi. Ma ci riuscì. E fu il momento più bello della sua vita. 

In seguito Frank venne denunciato e arrestato per tentata frode e tentato omicidio e aggressione. “Speriamo che buttino la chiave” ripeteva Jefferson che era tornato ad Oxford. Divenne un esploratore di fama mondiale e da quel giorno le sue scoperte crebbero esponenzialmente.

11 commenti:

  1. Bravo Leo! Mi è piaciuto :)

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  2. Bravo Leo il testo è bellissimo e molto scorrevole... Sono d'accordo con la Professoressa hai un gran talento!!!

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  3. Bravo Leo il tuo racconto mi è piaciuto molto

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  4. bravissimo leo la professoressa aveva proprio ragione, il tuo testo vale la pena leggerle tutto anche se molto lungo, molto scorrevole e sopratutto bravissimo per i dialoghi non è da tutti saperli scrivere così bene!

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  5. Bravooooooo Leo! Mi è piaciuto in particolare come hai descritto Jefferson quando era nella grotta e la suspance di tutto il racconto.

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  6. Bello Leo complimenti

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  7. Bravo Leo complimenti ,mi è piaciuto molto perché molto avvincente e ricco di colpi di scena.Sembra scritto da un grande autore! 👍

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  8. Bel testo Leo! Molto avvincente e scorrevole👍
    Aleks.

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  9. Molto bello, complimenti mi è piaciuto molto perché ci sono tanti colpi di schiena hai un futuro da scrittore!!!!!!!👍👍👍👍👍👍
    Da Rebecca

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